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Giorni di permesso personale o familiare. Tra diritto e discrezionalità

La Uil Scuola Rua scrive all’ARAN: occorre intervenire per ribadire con chiarezza la forza cogente e vincolante della norma contrattuale.

La questione che oggi è oggetto di ampia discussione investe il diritto del personale docente di poter usufruire delle giornate di permesso per motivi personali o familiari ai sensi dell’art. 15 comma 2 – CCNL Scuola.

Sul tema è intervenuta la Cassazione che, scomodando anche il proprio potere di interpretazione della norma, appiattisce la propria visione sulla linea già espressa in precedenza dalla Corte di Appello di Milano.

Sostanzialmente, viene affermato che dal sistema normativo si evince, in modo del tutto chiaro (sic!), che esiste una discrezionalità del dirigente scolastico nel concedere o meno i permessi richiesti e, quindi, di negarli laddove essi non vengano ritenuti opportuni.

Altro tema è legato al contenuto delle motivazioni necessarie, o meglio adeguatamente articolate, per esercitare il diritto previsto dalla norma; anche in questo senso la Cassazione ritiene corretta la motivazione della Corte di Appello di Milano, affermando che:

a parte l’evidente assenza di specificità del motivo personale allegato (dalla locale giurisprudenza ricondotto per lo più a esigenze gravi ed urgenti che in concreto non vengono indicate), questo secondo motivo di impugnazione va ritenuto assorbito dalla motivazione di cui al precedente §, vista la potestà discrezionale lasciata al Dirigente in merito all’opportunità di autorizzare le ferie per queste particolare ipotesi”.

È pertanto dirimente, a parere della Suprema Corte, l’ambito di discrezionalità esercitato dal Dirigente Scolastico che finisce di ridurre un “diritto”, rivendicato dalle parti sociali all’interno della Contrattazione Collettiva, ad una mera aspettativa condizionata tanto da una specificità di motivazioni sottese, tanto da una discrezionalità (non meglio qualificata) da parte del dirigente scolastico.

Discrezionalità che da sempre è stata esclusa anche in diversi pareri resi dall’Aran ove viene affermato: “In ogni caso i motivi addotti dal lavoratore non sono soggetti alla valutazione del dirigente scolastico. Infatti, la clausola prevede genericamente che tali permessi possono essere fruiti “per motivi personali e familiari” consentendo, quindi, a ciascun dipendente, di individuare le situazioni soggettive o le esigenze di carattere personale o familiare ritenute più opportune ai fini del ricorso a tale particolare tutela contrattuale”.

A nostro avviso, tanto la Corte di Appello di Milano quanto la Cassazione hanno interpretato le norme contrattuali in modo difforme dalla volontà contrattuale delle parti, difatti, se è vero che alla Cassazione è riconosciuto un potere nomofilattico cioè di interpretazione delle norme di legge, in questo caso siamo in presenza di norme che attengono alla Contrattazione Collettiva, in una sfera privatistica del rapporto di lavoro anche nell’ambito del pubblico impiego.

Siamo, pertanto, in presenza di una volontà “privata” delle parti contraenti di voler disciplinare un “diritto” contrattualmente riconosciuto che non prevede e non deve prevedere un ambito di discrezionalità in capo al datore di lavoro.

È in questa direzione che va ricercata la soluzione all’intervento della Suprema Corte.

È, dunque, necessario che tutte le parti contraenti – ARAN e Organizzazioni sindacali – forniscano, in modo chiaro, il perimetro di validità ed efficacia della norma contrattuale, anche per limitare gli interventi dei Dirigenti Scolastici che in questi giorni stanno emanando circolari e provvedimenti che limitano l’esercizio di un diritto in contrasto con la norma contrattuale.

La UIL Scuola Rua, pertanto, ha inoltrato una motivata richiesta all’ARAN affinché venga specificata e chiarita la portata della norma contrattuale stabilendo come “il diritto” disciplinato dall’art. 15 del CCNL richiamato non venga declassato a mera aspettativa ma che venga ribadita con chiarezza la sua forza cogente e vincolante per il dirigente scolastico potendo il datore di lavoro dettare criteri e modalità di presentazione della istanza, ma non assoggettarla ad un ambito di discrezionalità che, in questo caso, deve essere chiaramente escluso dall’accordo contrattuale delle parti e ribadito nella norma che regola e disciplina il rapporto di lavoro.

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